15 ottobre 2009

INTERVISTA | Alessandro Mendini

Carta d'identità
Nome e cognome: Alessandro Mendini
Professione: Architetto, designer, artista, teorico e giornalista
Link di riferimento: Atelier Mendini

Ph. Roberto Arleo©

L'architetto Alessandro Mendini è nato a Milano nel 1931. Ha diretto le riviste "Casabella", "Modo" e "Domus". Sul suo lavoro e su quello compiuto con lo studio Alchimia sono uscite monografie in varie lingue.
Realizza oggetti, mobili, ambienti, pitture, installazioni, architetture. Collabora con compagnie internazionali come Alessi, Philips, Cartier, Swatch, Hermés, Venini ed é consulente di varie industrie, anche nell'Estremo Oriente, per l'impostazione dei loro problemi di immagine e di design. E' membro onorario della Bezalel Academy of Arts and Design di Gerusalemme ed è professore onorario alla Accademic Council of Guangzhou Academy of fine Arts in Cina. Nel 1979 e nel 1981 gli è stato attribuito il Compasso d'oro per il design, è "Chevalier des Arts et des Lettres" in Francia, ha ricevuto l'onorificenza dell'Architectural League di New York e la Laurea Honoris Causa al Politecnico di Milano. E’ stato professore di design alla Hochschule für Angewandte Kunst a Vienna. Suoi lavori si trovano in vari musei e collezioni private.
Nel 1989 ha aperto assieme al fratello, architetto Francesco, l'Atelier Mendini a Milano, progettando le Fabbriche Alessi a Omegna, la nuova piscina olimpionica a Trieste, alcune stazioni di metropolitana e il restauro della Villa Comunale a Napoli, il Byblos Art Hotel-Villa Amistà a Verona, i nuovi uffici di Trend Group a Vicenza in Italia; una torre ad Hiroshima in Giappone; il Museo di Groningen in Olanda; un quartiere a Lugano in Svizzera; il palazzo per gli uffici Madsack ad Hannover, un palazzo Commerciale a Lörrach in Germania e altri edifici in Europa e in U.S.A.

• Quali sono i passaggi che trasformano un'idea su carta ad un progetto finito? Quali sono i problemi da affrontare?
Oggi (ma più o meno anche sempre) fare design vuole dire introdurre degli oggetti di qualità sulla scena del mondo, così che i “sistemi delle cose” si pongano in armonia. Si tratta di una tensione, di un'utopia. La violenza del mondo contemporaneo conduce verso tutte altre strade.

• Negli anni lo spirito, dell'Atelier Mendini usato nella progettazione, ha subito dei cambiamenti?
Il passaggio da una ipotesi a un manufatto può avere due esiti opposti: o quello positivo di affinare durante il processo di realizzazione l'idea di partenza, oppure quello negativo, di farne perdere le tracce.

• Un prodotto di design deve sempre stupire lo spettatore/fruitore?
Le ipotesi di base sono stabili: quelle della sperimentalità dei linguaggi visivi applicati alle varie scale del progetto, con una attenzione alla sua “anima”. Variano logicamente i metodi, i materiali, le tecnologie, i contesti umani, sociali e geografici...

• Cosa significa fare design oggi?
Un oggetto di design è un personaggio: deve farsi vedere e deve provocare un pensiero.

• Munari diceva che da cosa nasce cosa. Dove nasce la creatività? Dove si nasconde la sua origine?
Nel caso del nostro Atelier lavoriamo elaborando dei linguaggi. Sono come degli alfabeti visivi, degli stilemi che permettono combinazioni infinite. Li applichiamo a due e a tre dimensioni, sia piccoli che a scala di architettura.

• Secondo lei il design deve rivolgersi sempre ad un grande pubblico?
Il design di cui mi occupo io varia da lavori quasi individuali (prototipi, arte) ad oggetti di ampia tiratura industriale. E' come la differenza fra l'alta moda e il prêt à porter.

• C'è un progetto a cui è più legato? Quale? Perchè?
Più che a singoli oggetti sono interessato al rapporto fra di loro, alla loro “messa in scena”. Sono i molti attori di una commedia, ognuno con un suo carattere (buono o cattivo, forte o debole...).

• Di quali sentimenti o emozioni raccontano i progetti dell'Atelier Mendini?
Vorrebbero introdurre nella vita di chi li usa: buona energia, reazioni critiche, idee e pensieri.

• Crede che le università abbiano un ruolo fondamentale nella preparazione culturale dei progettisti del futuro?
Salvo eccezioni le scuole del progetto in Italia (Accademie, Università, eccetera) sono dei luoghi disperati, organizzati in maniera kafkiana, dove l'insegnamento della libertà e del futuro creativo è solo un sotto-problema.

• Quali sono i fattori che creano vantaggi competitivi? Quando un prodotto ha successo? E in base a quali fattori?
Secondo la mia esperienza la fortuna di un prodotto non è programmabile (il discorso però sarebbe molto lungo!)

• Che cosa rappresenta l'architettura nella nostra società? Quanto è influente lo spazio sulle persone che andranno a vivere quegli ambienti?
L'architettura, e certo anche la città, è il nostro principale contenitore, e condiziona ogni uomo, nel bene e nel male. Opere valide, e anche bellissime, continuano a sorgere. Ma la loro qualità sociale è inversamente proporzionale al bussines che le sottende.

• Nell'epoca globalizzata dell'incontro/scontro tra culture, come può contribuire l'architettura alla definizione di politiche sociali atte a mitigare i conflitti nello spazio urbano?
L'architettura globalizzata esprime una specie di nuovo colonialismo. Le grandi architetture cadono sui luoghi del mondo come grandi meteoriti, spesso provocando ferite nei tessuti urbani. D'altra parte provocano anche delle utili scosse energetiche, in grado di ossigenare delle situazioni stagnanti. Considero che le architetture ”forti” oggi assomiglino a delle ”agopunture territoriali”.


 
 
 

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