Abbas Kiarostami, classe 1940, Teheran. Nanni Moretti, classe 1953, Brunico. Diversi per cultura, formazione e provenienza, accumunati dal modo di fare cinema. La cura meticolosa delle immagini, dove emerge il perpetuo labile confine tra vita e cinema - cinema e vita; il disinteresse che porta un regista di discreta fama ad assecondare i gusti del pubblico, piegando dunque la propria inclinazione volutamente elitaria: questi sono sicuramente i due fulcri comuni di questi due registi contemporanei. “Quando faccio un film non penso al pubblico (…) i peggiori film sono stati fatti ‘in nome del pubblico’ “, dice Moretti in un’intervista. Kiarostami fa eco con “Sono contrario a giocare con i sentimenti dello spettatore, a prenderlo in ostaggio. Quando il pubblico non subisce questo riscatto sentimentale resta padrone di se stesso e guarda gli avvenimenti con un occhio più cosciente”. Uno sguardo semplice per dire cose complesse è questo forse l’imperativo categorico in film di stampo morettiano come in “La stanza del figlio” in cui si tratta il tema difficilissimo dell’elaborazioni del lutto di un figlio da parte di un padre, così umano troppo umano, con tutte le sue realtà e debolezze, anche freddezze; film in cui non si esclude nulla della concretezza del reale, neanche il sigillo della bara, atto concreto di una morte non spettacolarizzata, ma oggettiva. La stessa lealtà è restituita nel film del regista iraniano “Il sapore della ciliegia”, dove ciascuna azione, lungi da commuovere o far riflettere lo spettatore oltre ciò che non viene detto, (il tema del suicidio si presterebbe a tale ‘pathos’) è un esemplare perfetto della maestria del regista “che niente aggiunge e niente toglie” ai suoi film. Al Festival di Cannes del 1997 Kiarostami ricevendo la Palma d’oro con il film sopracitato ha dichiarato di “sentire di avere molte cose in comune” con il regista italiano.
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